È passato circa un anno dagli eventi che hanno segnato la fine del primo Death Stranding, anche se, per noi giocatori, sono trascorsi quasi sei anni dal debutto di quell’esperienza indimenticabile firmata Kojima Productions. Sam Porter Bridges, l’eroe riluttante che aveva accettato il compito di riconnettere un’America spezzata, ha lasciato alle spalle le UCA. Ora vive in Messico, lontano dal caos, tentando di costruirsi una nuova vita. Cresce Lou come fosse sua figlia e arrotonda facendo il corriere, portando avanti una fragile normalità in un mondo che normale non sarà mai più.
Ma la quiete, come sempre, è destinata a spezzarsi. Fragile lo ritrova e gli affida una nuova missione: estendere la Rete Chirale al Messico, continuando il processo di riconnessione degli insediamenti umani. Lei si prenderà cura di Lou, mentre Sam tornerà a camminare, ancora una volta, per un bene più grande.
Il dramma però non tarda ad arrivare. Un attacco al rifugio di Sam, in un momento in cui Fragile stava accudendo Lou, sconvolge ogni equilibrio. La bambina sembra perdere la vita – una scena mostrata già in uno dei primi trailer del 2022 – ma il suo Ka, l’anima, sembra rimanere ancorato alla capsula BB che la conteneva nel primo capitolo. Quel legame invisibile la renderà ancora una volta parte integrante del viaggio di Sam.
E che viaggio sarà. Nuovi volti si affacciano all’orizzonte: Neil, interpretato da un magnetico Luca Marinelli, e Lucy, portata in scena da Alissa Jung, la regista che tra l’altro è proprio la moglie di Marinelli. I fan storici riconosceranno subito il nome Lucy: era la moglie di Sam ancora prima degli eventi di Death Stranding. A chiudere il triangolo emotivo troviamo Tomorrow, impersonata da Elle Fanning, figura tanto misteriosa quanto fondamentale per la trama di questo secondo capitolo. E ancora Rainy, interpretata da Shioli Kutsuna, Tarman interpretato da George Miller (che affianca Guillermo del Toro che ritorna nei panni di Deadman), e tanti altri. Kojima è riuscito anche nella titanica impresa di non rendere inquietante una marionetta: l’enigmatico Dollman, che altro non è che il Ka di un sensitivo rimasto intrappolato dentro un pupazza, vi farà compagnia lungo tutto il viaggio, facendovi sentire meno soli e rendendosi anche utile come strumento di esplorazione e suggeritore.
Ma ciò che vi abbiamo raccontato è solo l’inizio. La vera forza di Death Stranding 2 sta, proprio come nel suo predecessore, nel viaggio: nella scoperta, nella connessione, nella lenta stratificazione di significato. Un’esperienza che non va solo vissuta, ma anche compresa, interiorizzata.
E per chi si avvicina alla saga per la prima volta, un avvertimento necessario: Death Stranding 2 non è pensato per essere un punto di partenza. I riferimenti, le dinamiche, i legami affettivi e tematici si fondano sulle esperienze del primo capitolo. Non bastano articoli o video riassuntivi. Senza aver camminato con Sam nel suo primo pellegrinaggio, sarà difficile – se non impossibile – cogliere la profondità di ciò che accade in questo secondo atto.
E Death Stranding 2, nonostante la critica feroce alla società di cui parleremo nella prossima sezione, non è stato pensato per indorare la pillola in alcun modo. Se non vi è piaciuto Death Stranding non vi piacerà nemmeno questo. Di fatto è una lettera di amore a chi ha amato spasmodicamente il primo capitolo, a chi ha ancora i brividi quando sente le note del BB’s Theme, a chi ha un moto di emozione vedendo la foto di Sam con in braccio Lou, a chi ha assimilato il concetto di corda e di bastone e lo ha fatto suo.
Un ultimo, piccolo, avvertimento: se siete padri questo gioco fa un male cane.
Nel primo Death Stranding, il messaggio era chiaro e profondo: unire, non distruggere. Hideo Kojima si era ispirato al concetto di bastone e corda dello scrittore Kōbō Abe, dove il bastone – la prima invenzione dell’umanità – serve per tenere lontano, per colpire, per difendersi. La corda invece unisce, lega, tiene vicino ciò che è importante. In quel primo viaggio, Death Stranding celebrava la corda. La Rete Chirale diventava simbolo della nostra capacità di ristabilire connessioni in un mondo in frantumi, e Sam – paradossalmente un uomo allergico al contatto fisico – era l’incarnazione di questo ideale: l’unico in grado di rimettere insieme ciò che sembrava irrimediabilmente spezzato.
Ma in Death Stranding 2 le cose cambiano. Il gioco, fin dalle sue prime battute, rovescia la prospettiva e solleva una domanda tutt’altro che retorica: “Should we have connected?”. Avremmo dovuto davvero connetterci?
È una domanda carica di amarezza. La corda, per quanto potente, non è più sufficiente. L’utopia della connessione viene messa in discussione: le stesse reti che dovrebbero salvare l’umanità possono diventare strumenti di oppressione o distruzione. La Rete Chirale, che un tempo era speranza, torna a essere un canale potenzialmente letale. Come Internet, che ha connesso il mondo reale, ma che troppo spesso diventa teatro di odio, manipolazione e controllo.
C’è anche una critica, forte e affilata, alla centralità delle armi. Nonostante il sogno della corda, il bastone ritorna, più presente che mai. Le armi – simbolo della violenza, del potere, del controllo – sono ancora lì. Death Stranding 2 è pieno di scontri, nuove tipologie di nemici e sessioni di gameplay in cui l’azione prende il sopravvento. Sembra quasi un regalo a quei critici che accusarono il primo gioco di essere un “walking simulator” noioso, troppo contemplativo, troppo distante dal concetto classico di videogioco.
Ma attenzione: Kojima non sta accontentando. Sta rispondendo. Volevate le armi? Ora ve le ritrovate addosso, nel cuore della narrazione, come un fardello che pesa su ogni scelta. E il messaggio è chiaro: non è la violenza a salvare il mondo, ma il coraggio di connettersi, nonostante tutto. Connettersi richiede fatica, rischi e responsabilità. Ma ignorare questo bisogno umano fondamentale – o peggio, corromperlo – può essere ancora più pericoloso.
In definitiva, Death Stranding 2 ci lascia con un interrogativo che trascende il videogioco: ci stiamo davvero connettendo nel modo giusto? O ci stiamo solo illudendo di farlo, mentre le nostre reti – reali o virtuali – diventano armi nelle mani sbagliate?
Nonostante Death Stranding 2 sia, nella sua ossatura, un’evoluzione coerente del primo capitolo, le novità sul fronte del gameplay sono tante, significative e profondamente integrate nell’esperienza. Kojima Productions non ha stravolto la formula, ma l’ha arricchita, rifinita e resa più densa in ogni singolo aspetto.
Il cambiamento più evidente riguarda sicuramente l’approccio al combattimento. Le armi si moltiplicano: dai nuovi fucili mitragliatori ai boomerang ematici alimentati con il sangue di Sam, fino a torrette mobili e cani robot in grado di inseguire i nemici. Il tutto conferisce al gioco una vena action più marcata, con scontri sempre più frequenti e coreografici. Non è solo una risposta alle critiche del passato: è una scelta narrativa e tematica, come già detto. Tra i nuovi avversari troviamo i mecha spettro, figure torreggianti e misteriose che si legano a doppio filo alla trama. E tornano, ovviamente, le CA, ora più numerose e variegate, pronte ad aggiungere quella tensione horror che spezza – e arricchisce – il ritmo dell’avventura.
Ma il cuore pulsante dell’esperienza resta sempre lo stesso: essere un corriere. Sam continua a dover trasportare materiali, farmaci, computer, moduli e strumenti essenziali per la sopravvivenza delle comunità. E per farlo deve camminare, pianificare e adattarsi. Non esistono scorciatoie: ogni consegna è una missione logistica e strategica.
Le variabili da gestire sono più numerose che mai: il vigore di Sam, la salute delle sue scarpe, il peso e la fragilità del carico, le condizioni atmosferiche – che ora includono terremoti, frane, valanghe, incendi, tempeste di sabbia, fulmini, e persino fiumi che esondano distruggendo infrastrutture. Ogni elemento ambientale può mettere a rischio l’intera missione, modificando in tempo reale il paesaggio. È un mondo che vive e reagisce, in cui la natura è una nemica tanto ostile quanto affascinante.
Fortunatamente, Sam ha nuovi strumenti a disposizione: esoscheletri di nuova generazione, costruzioni avanzate pensate anche per facilitare il trasporto e il movimento, nuovi veicoli e mezzi di trasporto innovativi. Spicca su tutti la monorotaia, un’aggiunta che si affianca al già noto sistema stradale. Ma non è tutto: torna anche la possibilità di costruire per sé stessi e per gli altri, in un sistema Social Strand potenziato. Ogni struttura, ogni ponte, ogni rifugio, può essere utilizzato da altri giocatori, e spesso sarà grazie a loro che riusciremo a completare una tratta impossibile. È questo il vero spirito della corda, il concetto chiave che attraversa l’intera esperienza: si costruisce insieme, non solo per sopravvivere, ma per permettere ad altri di farlo.
Le connessioni tra insediamenti non sono mai fini a sé stesse. Come nel primo capitolo, tornare sui propri passi è spesso necessario. E farlo in un mondo che abbiamo contribuito a migliorare – insieme ad altri – è una soddisfazione che va ben oltre il semplice gameplay.
Torna anche il sistema di valutazione delle consegne, con i like distribuiti a colpi di touchpad, e con esso tutta quella serie di meccaniche peculiari che rendevano Death Stranding così straniante e unico.
Anche i veicoli hanno fatto passi avanti notevoli. Migliorati nel feeling di guida, ora sono più utili e personalizzabili. Possono essere equipaggiati con moduli aggiuntivi che li rendono più autonomi od offensivi. E non mancano le sorprese: tra tutte, una tavola da surf (che surf non è, e nemmeno tavola, ma non spoileriamo più di tanto) utilizzabile all’interno della Rete Chirale per muoversi velocemente su acqua e terra, in una delle meccaniche più spettacolari del gioco.
Infine, una delle introduzioni più ambiziose: la DHV Magellan, una base operativa mobile per Sam e la sua squadra. Sì, perché stavolta Sam non è solo. Le connessioni create nel primo capitolo hanno dato vita a qualcosa di simile a una famiglia, e in Death Stranding 2, questa famiglia allargata lo accompagnerà – fisicamente e simbolicamente – lungo tutto il percorso.
E come nel primo capitolo, non mancano i momenti alla Kojima. Quasi a volerci ricordare che è un videogioco, e che la drammaticità messa in scena è pura immaginazione, ci sono elementi di gioco che sembrano davvero fuori posto. Ve lo ricordate il mitico cappuccio lontra del primo capitolo? C’è anche qui, ed è in ottima compagnia. E come non nominare Lucio Corsi… no, volevamo dire il mitico Troy Baker nei panni di Higgs che spara scosse elettriche da una chitarra elettrica (nomen omen)? O ancora i sorrisi enigmatici dei personaggi quando con il pollice in su vi lasciano like per le vostre azioni. È come se lo stile giapponese di fare giochi incontrasse quello tipicamente occidentale. Ma d’altronde stiamo parlando di Kojima, no?
Insomma, Death Stranding 2 non rivoluziona, ma evolve, espande e perfeziona. Non aspettatevi un gioco completamente diverso. Aspettatevi invece un’esperienza più grande, più ricca, più viva, in cui ogni singolo passo è ancora una volta un atto di fiducia verso il mondo e verso l’altro.
Death Stranding 2 non è un gioco da divorare in un weekend. È un’esperienza che chiede tempo, e che merita tempo. Per completare la sola trama principale, dedicandosi al minimo sindacale di attività collaterali – qualche consegna opzionale, la costruzione di strade o un tratto di monorotaia – serviranno almeno 50-60 ore. Ma questo, lo diciamo senza esitazione, è solo l’inizio.
Il sistema di progressione, come nel primo capitolo, premia chi si prende la briga di esplorare a fondo. Svolgere consegne extra consente di sbloccare nuovi accessori, strutture, armi, e persino aggiornamenti fondamentali che tornano utilissimi soprattutto se si gioca a livelli di difficoltà più elevati. In più, costruire un’infrastruttura solida – e mantenerla – è un’attività che può raddoppiare le ore di gioco, trasformando il viaggio di Sam in un vero impegno a lungo termine.
Salendo con la difficoltà, cresce anche la longevità naturale del gioco. Le rotte vanno pianificate con più attenzione, ci si ferma più spesso a riposare, il carico va gestito con una precisione chirurgica. Ogni passo diventa una scelta strategica. E tutto rallenta, come in una lunga escursione in alta quota dove l’ossigeno è poco, ma il panorama ripaga la fatica.
E poi c’è l’end game, una fase che, come nel primo Death Stranding, non chiude le porte, ma le spalanca. Finita la storia, si apre la possibilità di continuare il processo di riconnessione, di tornare sui propri passi e completare – finalmente senza l’urgenza narrativa – la costruzione della rete chirale. Potrete perfezionare ogni snodo, sistemare ogni strada, espandere ogni insediamento. In questa fase, il gioco vi permette persino di modulare l’intensità dei combattimenti, privilegiando l’aspetto esplorativo e gestionale se lo desiderate, oppure continuando con il pieno carico di sfida, creature e conflitti.
Death Stranding 2 è così: un’esperienza modulare, personale, plasmabile, che non si esaurisce con i titoli di coda. E se deciderete di restare in quel mondo ancora per decine e decine di ore, sarà perché quel mondo – nonostante tutto – avrà costruito un legame con voi. E voi con lui.
Il primo Death Stranding era già un capolavoro visivo, ma Death Stranding 2 alza ulteriormente l’asticella. Il Decima Engine, già maturo al tempo del debutto della serie, oggi raggiunge nuove vette di dettaglio, atmosfera e realismo. Se non avete più rivisitato l’originale dal 2019 – o da poco dopo – probabilmente ne conservate un ricordo vivido e splendente. Eppure, sarà sufficiente accendere questo secondo capitolo per rendervi conto che il progresso è tangibile, netto, inconfondibile.
Ciò che colpisce di più è l’espressività dei volti: Sam ha rughe nuove, segni di stanchezza che sembrano incisi nella pelle vera. Gli sguardi raccontano emozioni ancora prima delle parole. Meravigliosa la performance di Luca Marinelli, così come quella di tutti gli attori e registi: non sembrano animati, sembrano recitare davvero all’interno di un film interattivo. Merito della resa visiva, sì, ma anche di un lavoro di motion capture ai limiti della perfezione. Non è solo grafica: è presenza scenica digitale.
Il gioco lo abbiamo testato su PlayStation 5 e PlayStation 5 Pro, quasi sempre in modalità performance, una scelta naturale visto l’aumento del ritmo action. In entrambe le configurazioni, il titolo è sbalorditivo. La versione per PS5 Pro, pur mantenendo un’eccellente fluidità, non introduce differenze sostanziali rispetto alla base. E in effetti ha senso: il gioco è stato sviluppato e ottimizzato in prima battuta su PS5, dove gira a 60 fps stabili senza alcun rallentamento, offrendo un’esperienza tecnica solida e spettacolare.
E poi c’è la musica. In Death Stranding, le tracce ambientali non erano semplici accompagnamenti: erano strumenti narrativi potentissimi. Quei passaggi musicali che si attivavano quando Sam si avvicinava agli insediamenti o attraversava silenzi infiniti hanno lasciato un’impronta indelebile nella memoria dei giocatori. Il BB’s Theme, ancora oggi, riesce a toccare corde profonde di chi all’epoca attraverso le UCA.
E per ovvie ragioni anche stavolta le aspettative erano altissime. E Kojima le ha pienamente soddisfatte. Alcune delle nuove tracce firmate da Woodkid vi si insinueranno dentro, fino a farvi vibrare in sintonia con l’ambiente e la storia. Il ritorno del BB’s Theme, in forme inaspettate, è una carezza e uno strappo al cuore allo stesso tempo. È un’esperienza emotiva e sensoriale che va ascoltata per essere capita.
Infine, una menzione d’onore al doppiaggio italiano, che torna anche in Death Stranding 2 con una qualità impeccabile. Ogni voce è ben scelta, ogni interpretazione convincente, senza stonature o forzature. Non si avverte mai la nostalgia per le voci originali, il che è un traguardo non banale, soprattutto considerando l’andamento del doppiaggio in Italia negli ultimi decenni. È un lavoro curato, rispettoso e funzionale, che contribuisce a rendere l’esperienza intima e accessibile anche a chi non gioca in lingua inglese.
L’articolo Death Stranding 2, la recensione: il ritorno di un capolavoro che divide e incanta sembra essere il primo su Smartworld.