Con Ghost of Yōtei, Sucker Punch torna a raccontare il Giappone feudale dopo il successo mondiale di Ghost of Tsushima. Non si tratta di un vero e proprio seguito, ma di un successore spirituale: una nuova protagonista, Atsu, un’ambientazione inedita – l’Hokkaidō del XVII secolo, allora conosciuto come Ezo – e meccaniche ampliate che spingono ancora di più sull’esplorazione e sulla libertà del giocatore.

Noi lo abbiamo giocato dall’inizio alla fine, e sul sito trovate già la recensione completa. Ma non ci siamo fermati lì: abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con chi, in questi vent’anni, ha contribuito a plasmare l’anima tecnologica dei giochi Sucker Punch.

Stiamo parlando di Adrian Bentley, oggi Director of Programming dello studio. Entrato nel 2004, ha lavorato all’evoluzione del motore proprietario e a titoli come Sly 3: Honor Among Thieves, la serie inFAMOUS, Ghost of Tsushima e, naturalmente, Ghost of Yōtei. Nel corso dell’intervista ci ha raccontato le sfide tecniche dietro il nuovo progetto e come il team sia riuscito a spingersi oltre senza mai perdere di vista l’esperienza dei giocatori.

Ecco cosa ci ha raccontato!

SmartWorld: Sei stato parte del team sia per Ghost of Tsushima che per Ghost of Yōtei. Ci racconti un po’ il tuo percorso nello studio e come si è evoluto il tuo ruolo?

Adrian Bentley: Sono entrato in Sucker Punch nel 2004, lavorando a Sly Cooper 3 come gameplay programmer. In seguito ho fatto parte del team di Infamous, occupandomi sempre di più della tecnologia del motore e arrivando anche a ruoli di coordinamento. In quegli anni mi sono cimentato un po’ in tutto: fisica, linguaggi di scripting, grafica. È una caratteristica di Sucker Punch: qui tutti indossano molti “cappelli”.

Con Ghost of Tsushima mi sono concentrato soprattutto sullo streaming dei contenuti, cosa che ho portato avanti anche su Yōtei. Negli ultimi anni ho assunto la guida del team di ingegneri, quindi ora mi occupo anche di management, ma continuo a divertirmi a risolvere problemi complessi e a scrivere codice per supportare il lavoro del team.

SmartWorld: Quali sono state le sfide tecniche più grandi nello sviluppo di Ghost of Yōtei, anche rispetto a Tsushima?

Adrian Bentley: La sfida principale era migliorare il gioco senza uscire dai limiti di prestazioni che ci eravamo imposti. Mi sono dedicato molto allo streaming, perché questa volta volevamo ambienti più ampi, con orizzonti più estesi, praterie che si muovono al vento e montagne visibili da grande distanza. Abbiamo aggiunto novità come la deformazione della neve e fatto i primi passi con la ray-traced global illumination, soprattutto su PS5 Pro.

Abbiamo introdotto tante altre cose – dal sistema dei Memories (dei flashback pilotati dal giocatore, che può passare dalla realtà al passato tenendo premuto un pulsante, NdR) ai Buddy Standoffs (confronti come in Ghost of Tsushima ma a fianco di un alleato, NdR) fino al cambio dinamico delle armi. Io ho dato un contributo in molte aree, ma il mio focus principale è stato sulla pipeline (NdR: la “catena di montaggio” di strumenti e processi che permette al team di integrare contenuti, codice e grafica in modo efficiente).

SmartWorld: Cosa vi siete portati dietro da Ghost of Tsushima che vi è servito nello sviluppo di Yōtei?

Adrian Bentley: La cura maniacale per i dettagli e per il tono. Abbiamo lavorato ancora con consulenti culturali, perché la sfida è trasportare il giocatore in un luogo e un’epoca precisi. Ogni piccolo elemento contribuisce a dare autenticità. Da Tsushima abbiamo imparato tanto, e l’abbiamo applicato in Yōtei per ricreare di nuovo un’ambientazione storica credibile e immersiva.

SmartWorld: La varietà di armi è cresciuta parecchio. Come avete fatto a renderle tutte utili e interessanti?

Adrian Bentley: Ogni arma ha effetti diversi sui nemici e un suo ritmo di animazioni. Alcune sono rapide, altre più lente ma potenti, altre ancora permettono attacchi ad area o a distanza. È un processo che nasce da idee di base, a cui aggiungiamo via via varianti e combinazioni. Poi testiamo moltissimo: osserviamo quanto tempo impiega un giocatore a ottenere certe armi, come le usa, cosa preferisce.

L’obiettivo è che ogni arma trasmetta sensazioni diverse e inviti a sperimentare, ma allo stesso tempo che chi ha una preferita possa usarla senza sentirsi penalizzato.

SmartWorld: C’è una funzione o un sistema di cui sei particolarmente orgoglioso?

Adrian Bentley: Sicuramente lo streaming e i caricamenti rapidi. Per noi è fondamentale che il giocatore entri subito nel gioco e non debba aspettare. Ci tenevamo molto già con Tsushima, e in Yōtei siamo riusciti a spingerci oltre.

SmartWorld: Ghost of Yōtei è ovviamente un’esclusiva PS5. Ma al di là dei caricamenti istantanei, quali caratteristiche della console avete sfruttato di più?

Adrian Bentley: Tantissimo il controller. Il touchpad, ad esempio, serve anche per dipingere, mentre il feedback aptico e lo speaker ci hanno permesso di dare sfumature emotive in momenti chiave, come nelle Memorie o nei momenti musicali.

Abbiamo usato l’hardware della console in modo molto spinto: GPU compute per gestire la resa degli ambienti e le grandi distese visibili in lontananza, simulazioni di tessuti e vento per rendere il movimento più naturale.

E poi c’è l’SSD: su PS4 a volte dovevamo pre-registrare le cutscene, mentre su PS5 possiamo caricare direttamente le scene di gioco e riprodurle, con meno compromessi e meno lavoro per la produzione.

SmartWorld: Una delle cose più amate in Tsushima, che ritroviamo anche qui, è lo schermo “pulito” durante l’esplorazione. Avete fatto evolvere questo aspetto in qualche modo?

Adrian Bentley: Ci tenevamo a mantenere quella sensazione di calma e bellezza. Stavolta abbiamo spinto ancora di più sull’esplorazione, con spazi più ampi e orizzonti più aperti. È stato un lavoro corale: art direction, level design, environment design… tutto per far sì che il giocatore capisca dove andare senza bisogno di un’interfaccia invadente.

SmartWorld: Ghost of Yōtei viene definito un successore spirituale, ma la storia è completamente separata. Perché questa scelta, considerando che Jin Sakai sarebbe stata la via più “sicura”?

Adrian Bentley: Non sono uno scrittore, ma a noi piace raccontare storie di origini. Volevamo un racconto più incentrato sull’esplorazione e su un personaggio outsider, con un tono diverso da Ghost of Tsushima. Ci piace cambiare, e così abbiamo scelto una nuova timeline con una nuova protagonista.

SmartWorld: Perché proprio Hokkaidō (Ezo nel gioco, come si chiamava nel 1600 in Giappone) come ambientazione?

Adrian Bentley: Perché volevamo un ambiente che rendesse naturale l’esplorazione. L’Hokkaidō è selvaggio, aperto, bellissimo. Inoltre, in quell’epoca e in quella regione ci sono molte storie mai raccontate: un’opportunità perfetta per noi.

SmartWorld: Io di solito non amo i giochi che spingono al completismo, ma Yōtei ti porta quasi naturalmente a esplorare tutto senza mai sembrare un obbligo. Come ci siete riusciti?

Adrian Bentley: Era un obiettivo preciso. Non volevamo un gioco che ti mettesse davanti una checklist da spuntare, ma un mondo organico. Non ti mostriamo subito tutto: puoi comprare mappe dai viaggiatori, o magari vedi un albero particolare e lì trovi una storia o un nemico inatteso. Piccoli elementi di sorpresa e varietà che rendono l’esplorazione naturale e stimolante.

SmartWorld: Dopo 40 ore di gioco mi sono trovato ancora di fronte a nuove meccaniche. Come avete gestito il ritmo della progressione per mantenere vivo l’interesse fino alla fine?

Adrian Bentley: Volevamo che la crescita fosse sia narrativa – attraverso la storia e i personaggi – sia meccanica, con nuove armi e potenziamenti. Se dai tutto subito, il rischio è di annoiare. Per questo distribuiamo le novità nel tempo: alcuni giocatori non le scopriranno tutte, ed è giusto così.

Abbiamo fatto molto focus testing per capire i tempi di acquisizione di armi e upgrade. In un open world non puoi prevedere un percorso lineare, quindi abbiamo studiato tanti modi diversi di distribuire ricompense e informazioni. Un esempio è il Camp Fire (ci si può accampare un po’ ovunque per ricaricare energia e non solo, NdR): durante il viaggio possono arrivare personaggi che ti danno nuove opportunità, storie o indizi. Sono piccoli sistemi che, messi insieme, mantengono il gioco “fresco” per decine di ore.

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