Negli ultimi anni, accedere ai contenuti online è diventato sempre più difficile senza mettere mano al portafoglio. Dai giornali ai podcast, passando per i social e le piattaforme video, molti servizi un tempo gratuiti sono ora dietro un paywall o un abbonamento. Una tendenza crescente che solleva una domanda importante: che fine ha fatto l’Internet aperta e accessibile a tutti?

Questo è l’argomento che trattiamo nel video in copertina, in cui vengono mostrati anche molti esempi di servizi a pagamento, siti con paywall e molto altro ancora. Date un’occhiata se volete saperne di più.

Internet era nato come un progetto aperto, pensato per lo scambio libero di conoscenza. I primi anni del web erano un terreno fertile di idee, forum, siti personali e condivisione spontanea, senza filtri o barriere economiche.

Ma alla fine degli anni ’90 è arrivata la svolta: la pubblicità online ha trasformato il web in un sistema economico vero e proprio. Il principio era semplice: contenuti gratis per gli utenti, ricavi per i siti grazie alle inserzioni. Un equilibrio che ha retto per molto tempo.

Oggi quel modello è in crisi. La pubblicità da sola non riesce più a sostenere redazioni, piattaforme e creator, specie quelli più piccoli. Il calo delle entrate ha portato a una corsa agli abbonamenti, spesso anche per contenuti prima considerati marginali.

Di conseguenza, sempre più servizi si stanno trasformando in prodotti premium: dalle notizie ai video, dalle newsletter alle emoji. L’obiettivo non è solo aumentare i profitti, ma spesso semplicemente sopravvivere.

Ecco alcuni esempi concreti:

Giornali online: paywall presenti su La Repubblica, Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport, New York Times, El País, Le Monde.
Piattaforme di contenuti: abbonamenti necessari per Substack, Patreon, OnlyFans.
Social e streaming: YouTube Premium, Twitch (con contenuti solo per abbonati), Instagram (con contenuti riservati), Telegram Premium.
Podcast e musica: Spotify (con integrazione Patreon), Il Post e altri podcast a pagamento.
Forum e community: Reddit ha introdotto funzioni a pagamento.

Tutti questi servizi, fino a qualche anno fa, erano gratuiti o quasi. Ora invece ci troviamo a dover scegliere a cosa abbonarci, perché abbonarsi a tutto è impossibile.

Il problema non è pagare, ma doverlo fare ovunque. Con decine di servizi a pagamento, l’utente medio è costretto a selezionare con attenzione cosa tenere e cosa lasciare. Questo crea disuguaglianze: i contenuti migliori finiscono nelle mani di chi può permetterseli, lasciando fuori chi non ha risorse.

Inoltre, questa frammentazione danneggia il confronto: le community diventano sempre più chiuse, i contenuti circolano meno, e il web perde quella funzione di piazza pubblica che l’ha reso grande.

Non si tratta di essere contrari agli abbonamenti: in molti casi sono l’unico modo per garantire contenuti di qualità. Ma serve una riflessione più ampia. Se tutto diventa esclusivo, il rischio è di trasformare Internet in un ambiente elitario, dove la conoscenza è un lusso.

È il momento di pensare a nuove soluzioni: modelli misti, accesso libero con supporto volontario, forme di finanziamento pubblico o collettivo. Il futuro del web non può basarsi solo sul paywall.

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